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Ho iniziato a lavorare alla Lanerossi a Pievebelvicino a soli diciotto anni; inizialmente mi fecero un contratto di apprendistato per un anno e al termine, per festeggiare, ci hanno regalato una gita premio a Pedavena assieme al gruppo delle colleghe. Abitavo a Magrè in via Palazzina e ho sempre fatto i turni al lavoro: una settimana di mattina e una di pomeriggio. Ricordo che avevo le colleghe che venivano da Monte Magrè o dal Zovo e facevano parecchia strada a piedi e/o in bici per raggiungere la fabbrica. All’inizio ho lavorato in filatura e successivamente al garzo dove vi sono rimasta. Era un lavoro duro, avevamo una macchina e dovevamo controllare le coperte perché spesso non andavano dritte, perciò bisognava raddrizzarle altrimenti si garzavano di più in un lato rispetto all’altro. Vi erano diverse tipologie di coperte: le Excelsior (erano le più grandi e grosse), le super termiche e altre ancora. Le coperte uscivano dalla tessitura, andavano nella folatura dove venivano lavate e asciugate e noi le garzavamo per fare alzare il pelo. A Pievebelvicino ho lavorato per circa dieci anni, ricordo che non c’era la mensa perciò bisognava portarsi la pentolina con il mangiare da casa, lo scaldavamo sulla stufetta e andavamo in spogliatoio per fare la pausa. Ricordo che c’era la “palpa” una signora addetta che al termine del turno di lavoro controllava il tessuto (lo palpava) che nessuno rubasse la lana o pazzi di stoffa.
Nel 1966 ci hanno spostato nell’edificio nuovo di Schio nella zona industriale; eravamo rimaste in poche colleghe, alcune furono spostate a Villaverla, alcune a Dueville e altre ancora si licenziarono perché era troppa la distanza tra il luogo di lavoro e l’abitazione. Io ho avuto la fortuna di rimanere in zona. Nella nuova fabbrica avevamo quattro macchine molto grandi denominate “il treno” dove le pezze si giravano da sole ma comunque dovevamo controllare che fossero dritte. Avevamo mezz’ora di pausa e andavamo a mangiare in mensa anche se eravamo sempre di corsa (il tempo per fumare una sigaretta non mancava). Lavoravamo a cottimo per cui quando la giornata era piena non avevamo nemmeno il tempo di andare in bagno. Quando ero di mattina il turno iniziava alle 06.00 ma alle 05.30 ero già in portineria e ho sempre lavorato anche durante le festività.
Ricordo di aver scioperato, assieme ai miei colleghi, per circa due settimane perché vi era la volontà di ridurre il personale a fare dei cambiamenti organizzativi. Il motto era “in settemila siamo e in settemila restiamo” così assieme ai sindacati abbiamo protestato.
Sono andata in pensione a cinquant’anni e mi hanno regalato gli ultimi cinque anni donandomi una medaglia d’oro per i miei ventisette anni di lavoro continuativi e una targa che ancora conservo. Con le mie colleghe sono sempre andata d’accordo e ci aiutavamo a vicenda, insomma mi piaceva il lavoro anche se ero sempre di corsa! Ricordo che tra i servizi che venivano offerti agli operai e alle famiglie vi era la colonia sia per gli adulti che per i bambini. Io ho frequentato la colonia di Tresche Conca dopo aver perso la mia bambina (da poco nata) per potermi riprendere. A Cesuna c’era la colonia per i bambini e la ho mandato mio figlio, mentre mia figlia è andata a Caorle. Ricordo che al teatro Jacquard c’era una sarta che insegnava gratuitamente a cucire e per un po’ di tempo ci sono andata; vi era anche la possibilità di andare a teatro a vedere qualche commedia.